“Senti, Franco, ci puoi spiegare in cosa consiste questo evento, la North Cape 4000?
Quest’anno l’organizzazione ci ha fatto partire da Rovereto e ci ha fornito una traccia da seguire. Lungo il percorso ci sono quattro gate, ovvero quattro punti di controllo dove bisogna timbrare. Quest’anno i punti di controllo erano a Monaco, Berlino, Copenaghen e Rovaniemi, e l’ultimo a Capo Nord.
Il numero massimo di partecipanti quest’anno era di 350. Siamo partiti tutti insieme da Rovereto, ma ovviamente ognuno ha il proprio ritmo e il proprio modo di viaggiare. Nei primi giorni hai l’occasione di incrociare e parlare con tantissime persone, ma man mano che il viaggio procede e ognuno prende il proprio passo, ti ritrovi un po’ più da solo.
Ma dimmi, scusami, sei partito da solo? Quindi, non avevi pianificato di fare il viaggio insieme a un amico?”
“Inizialmente avevo l’intenzione di fare un pezzo di strada con alcuni amici che conoscevo. Tuttavia, è normale che ognuno viva il viaggio a modo suo, e ben presto ho deciso di seguire il mio ritmo e di intraprendere il viaggio da solo. Durante il percorso, però, ho incontrato un ragazzo, Walter, con cui abbiamo tacitamente deciso di continuare il viaggio insieme. Non lo conoscevo prima, è un ragazzo di Milano che ho incontrato il primo giorno a Innsbruck, proprio quando sono caduto. Da lì abbiamo deciso di passare la notte insieme nello stesso albergo, e si è rivelata una compagnia giusta per entrambi, tanto che abbiamo concluso il viaggio insieme.
A metà percorso, più o meno quando mancava la metà del tragitto, si è aggiunto un altro ragazzo, Michele, che avevamo già incrociato lungo la strada. Così abbiamo finito il viaggio fino a Capo Nord in bici in tre.”
“Com’è stato condividere questa esperienza con altre persone?”
“La convivenza è stata ottima, il che è difficile da prevedere prima di un viaggio. Stare bene con delle persone non è semplice, anche per questioni di ritmo e di obiettivi, ma la nostra convivenza è stata molto proficua. Ci siamo aiutati a vicenda, abbiamo fatto compagnia l’uno all’altro, ma senza sentirci obbligati a parlare continuamente. Ognuno ha avuto i suoi spazi, ed è importante essere intelligenti nel rispettare le esigenze degli altri. Sapere che, se hai bisogno, c’è qualcuno che può darti una mano è molto rassicurante.
Quindi sì, possiamo dire che ci siamo scelti, basandoci su un comune sentire e modo di interpretare questa esperienza. È impensabile obbligarsi a seguire una compagnia quando non c’è feeling. È capitato anche di fare dei tratti di strada con altre persone, e questo è il bello del viaggio: essere liberi di interpretare il viaggio a modo proprio, con il proprio ritmo e modo di pensare. Abbiamo conosciuto tantissime persone che incrociavamo costantemente, ma ognuno aveva la propria tabella di marcia e il proprio modo di vivere il viaggio.”
“Abbiamo dovuto pedalare molto con la testa piuttosto che con le gambe, perché le strade, specialmente in Svezia, si sono rivelate molto diverse da quelle che ci aspettavamo. Erano lunghe e dritte, con continui saliscendi, che hanno messo a dura prova la nostra resistenza, sia fisica che mentale. La monotonia di questi tratti è stata predominante.”
“Dal punto di vista fisico, quali difficoltà hai riscontrato?”
“Le difficoltà fisiche non sono state quelle che mi aspettavo. È chiaro che prepararsi per andare a Capo Nord in bici pedalando per oltre 4000 km è molto difficile; puoi allenarti quanto vuoi, ma i chilometri sono così tanti che è il tuo organismo a doversi adattare durante la manifestazione stessa. Dopo 4-5 giorni, noti proprio un cambiamento nel tuo corpo, che inizia a reagire perfettamente: il ritmo diventa costante, il battito cardiaco si abbassa, e sorprendentemente, almeno per quanto mi riguarda, non ho avuto dolori alle gambe. Probabilmente perché non si accumula acido lattico in modo significativo, quindi fisicamente è andato tutto benissimo.”
“Quindi non hai avuto problemi come, per esempio alla sella o dolori articolari?”
“Il problema alla sella è stato costante per tutti i 15 giorni, e confrontandomi con gli altri partecipanti, ho scoperto che è stato un problema comune. Ho riscontrato anche un altro problema non trascurabile per i viaggi futuri: quello delle scarpe. I piedi si sono gonfiati, e ho avuto difficoltà a pedalare per lunghi tratti senza provare dolore. Non è un problema da poco e non va sottovalutato.”
“Come ti sei alimentato durante questi 16 giorni e dove hai dormito? Parlando della logistica, io e i miei compagni—prima Walter, il mio primo compagno di viaggio, e poi Michele che si è unito successivamente—decidevamo di volta in volta quanti chilometri percorrere. A metà giornata valutavamo se eravamo in grado di coprire la distanza che avevamo pianificato la sera prima, e poi fissavamo il punto di arrivo. Quindi prenotavamo una sistemazione per la sera stessa.”
“Quindi pianificavate giornalmente?”
“Sì, ogni giorno pianificavamo il percorso. Non sono partito con sacco a pelo e tenda, avevo già deciso di dormire in strutture ricettive. Questo perché avevo previsto di pedalare, come poi è stato, circa 12 ore nette al giorno. Considerando le pause, sapevo che sarei arrivato tardi e volevo cercare di dormire il più comodamente possibile. Comunque, abbiamo dormito circa 6 ore a notte, quando andava bene, quindi non di più.”
“E per quanto riguarda l’alimentazione? Cosa hai mangiato?”
“L’alimentazione è stata una questione particolare, a tratti un dramma, soprattutto per il reperimento del cibo. Non tutti i paesi erano dotati di supermercati o bar come li conosciamo noi. Nel profondo Nord, ad esempio, i bar non esistono, ma ci sono stazioni di servizio con bar e ristori, oppure i classici supermercati. Quando entravamo in questi supermercati, prendevamo tutto ciò che ci faceva gola e lo stivavamo nelle nostre giacche e tasche, perché pedalando così tanto tempo si mangia continuamente.
Consumavamo frutta, soprattutto banane (che incredibilmente si trovano anche in Svezia e Lapponia), biscotti, frutta secca, orsetti gommosi, piccoli panini che ci preparavamo. Passavamo continuamente dal dolce al salato, perché sentivamo una fame costante, almeno per quanto mi riguarda. Rispetto all’idea iniziale di seguire un’alimentazione più controllata, ti rendi conto che bruci talmente tante calorie che mangi qualsiasi cosa ti capiti. È assurdo pensare di alimentarsi solo con barrette o integratori. Per rendere l’idea, l’ultimo gel l’ho mangiato a Capo Nord, perché dopo un po’ senti il bisogno di variare i sapori per mantenere l’appetito.”
“Qual è stata la tappa più difficile del percorso? Ce n’è stata una sola o più di una?”
“In realtà, ce ne sono state un paio, a dire la verità. La prima difficoltà è stata proprio il primo giorno, quando purtroppo sono caduto a Innsbruck. Ho infilato la ruota in una rotaia e, dopo appena 7 ore dalla partenza, mi sono ritrovato a terra con una brutta abrasione al gluteo e al ginocchio. Lì ho avuto la prima paura di non farcela, di dovermi fermare subito il primo giorno.
Un altro momento difficile è stato il tratto da Berlino a Rostock, dove abbiamo affrontato 200 km di vento contrario. È stata davvero dura, anche perché il paesaggio non variava molto, quindi non avevi la percezione di avanzare o di fare progressi. C’erano solo colline, campi di grano e vento contro, e sembrava di non arrivare mai.
Un terzo momento brutto è stato durante una tappa verso Falun, in Svezia. Abbiamo percorso lunghissimi tratti di continui saliscendi e rettilinei interminabili. È stato molto duro, non solo fisicamente, ma anche psicologicamente, perché non si vedeva anima viva, neanche macchine o abitazioni. Pedalare così a lungo senza un punto di riferimento, senza sapere dove fermarsi a mangiare o riposare, è stato davvero pesante.
Inoltre, anche fisicamente è stato molto impegnativo: i continui saliscendi richiedevano di pedalare sia in salita che in discesa, perché la bici era carica e non c’era modo di riposarsi. Facevamo dislivelli di 600 metri, ma sembrava di averne fatti solo 100, tanto era difficile sia salire che scendere. Anche in discesa non riuscivi a rilassarti, e questo ha reso tutto molto faticoso, sia dal punto di vista fisico che mentale, soprattutto a causa di quei rettilinei interminabili che sembravano non finire mai.”
“Franco, ci racconti un po’ i numeri di questo viaggio a Capo Nord in bici?”
“I numeri della North Cape sono questi: alla fine del viaggio, ho percorso circa 4.230 km con un dislivello totale di circa 30.000 metri. Ho completato il percorso in 16 giorni, con un dislivello giornaliero che si attestava intorno ai 2.000 metri. Ovviamente ci sono stati giorni in cui il dislivello era sui 1.700 metri e altri in cui abbiamo superato i 3.000 metri.
Le ore effettive di pedalata erano circa 12 al giorno, nette. Questo significa solo tempo di pedalata, senza contare le pause. Ci alzavamo alle 6:00 del mattino e cercavamo di partire verso le 6:30. Prima delle 19:30 o 20:00 non arrivavamo a destinazione.
La velocità media totale durante la North Cape si aggirava sui 23 km/h.”
“E senti, Franco, dal punto di vista dell’equipaggiamento, cosa si è rivelato davvero indispensabile, di quelle cose che pensi: ‘meno male che l’avevo con me’? E invece, cosa non lo è stato?”
“Per quanto riguarda l’abbigliamento, il doppio pantaloncino è stato indispensabile. Sì, sono partito con solo due pantaloncini, ma li cambiavo continuamente, lavando e asciugando l’altro. Questo è fondamentale per evitare problemi sotto sella: avere sempre un pantaloncino pulito e asciutto è davvero essenziale.
Un’altra cosa indispensabile è stata la giacca antipioggia. Anche se abbiamo trovato generalmente un buon meteo, ci sono stati alcuni giorni di pioggia, ed è stato interessante vedere come le temperature si abbassavano bruscamente quando pioveva. Avere una giacca che non solo ti protegge dalla pioggia ma ti mantiene anche caldo è stato fondamentale.
Per quanto riguarda i pantaloni, avevo solo pantaloni corti, ma mi ero portato anche dei gambali che ho usato, non tanto per la pioggia quanto per il freddo, specialmente la mattina quando partivamo e faceva un po’ fresco. In generale, comunque, abbiamo trovato un buon meteo.
“Dal punto di vista tecnico, legato alla bicicletta, ci sono state soluzioni che si sono rivelate azzeccate o meno?”
“Ho avuto la fortuna di non avere grossi problemi tecnici, anzi, nessuno. Una cosa che consiglio è il tubeless. Mi sono trovato particolarmente bene, soprattutto confrontandomi con altri ragazzi che ho incontrato e che hanno avuto molti più problemi di forature con il copertoncino e la camera d’aria, rispetto a chi come me aveva il tubeless.
Un oggetto che porto sempre con me e a cui non rinuncerei mai è la classica fascetta da elettricista. Ho avuto occasione di usarla diverse volte durante il viaggio e ha risolto diversi problemi. Ti salva sempre, ad esempio quando si rompe un laccetto della borsa o si stacca la luce, la fascetta ti risolve tutto.
Un altro oggetto che considero utilissimo è il nastro isolante, il classico nastro nero da elettricisti. Anche questo ti può salvare in tante situazioni.”
“Vedi, non ci avrei mai pensato a queste cose. Avrei pensato a roba più ciclistica, però vedi…”
“Le cose classiche, ovviamente, vanno sempre portate, come lo smagliacatene e simili, che sono nel kit del viaggiatore e non devono mai mancare. Ma alla fine, le cose che si rivelano davvero importanti e che ti possono risolvere diversi problemi, secondo me, sono queste: fascette da elettricista e nastro adesivo da elettricisti. Nel mio kit non mancano mai.”
“Beh, grazie per l’info! Senti, io non sono mai stata a Capo Nord. Cosa c’è a Capo Nord quando arrivi? C’è il monumento, abbiamo visto la tua foto…A livello di supporto e logistica, cosa c’è?”
“Allora, supporto e logistica non ci sono. Come ti ho già detto, questo era un evento self-supported, quindi, quando siamo arrivati, c’era solo una persona dell’organizzazione che ci ha dato l’ultimo timbro e ci ha fatto le foto di rito al monumento.
Secondo me, però, il bello di questo evento è proprio questo: non è una gara in cui devi dimostrare qualcosa. Hai solo, almeno nel mio caso, coronato un sogno. Per cui, devi essere già grato a te stesso per aver concluso questa splendida avventura. Non servono coppe, non serve una birra… Quando sono arrivato lì, non avevo bisogno di niente, se non di piangere, perché ero profondamente commosso e stordito da un tumulto di emozioni che mi ha travolto negli ultimi chilometri. Per percorrere gli ultimi 30 km ci ho messo quasi 2 ore, perché volevo godermi ogni singolo momento, sapendo che il sogno era ormai a portata di mano. Mi sono davvero gustato quegli ultimi chilometri.
Lì c’è un centro visite bellissimo, con un ristorante, un piccolo museo, e dietro c’è questo monumento dove abbiamo fatto la foto, con la scogliera e il mare sullo sfondo. E niente, sei davvero alla fine del mondo, è bellissimo.”
“E quindi poi da lì sei ripartito e hai rifatto i 30 km per tornare al paese?”
“Il ritorno è stato un po’ rocambolesco, se vuoi te lo racconto.”
“Sì, sì, ci fa piacere!”
“Non avendo un pullman che ci riportasse a Honningsvåg, e avendo già mentalmente staccato la spina dopo aver raggiunto Capo Nord (gli ultimi 30 km sono durissimi, con tre salite importanti tra i 3 e i 6 km e pendenze dell’8-9%), eravamo a corto di energie. Dovevamo fare quegli altri 30 km per arrivare a Honningsvåg, dove alle 16 circa sarebbe partito un pullman, ma noi siamo arrivati all’una. Tra il tempo di riprenderci, fare le foto e raggiungere il pullman, non eravamo sicuri di farcela. Inoltre, avevamo già prenotato l’aereo per il martedì per tornare a casa, quindi eravamo un po’ di corsa.
I miei amici e io abbiamo deciso di spostarci nell’area camper e di chiedere aiuto a tutti i camperisti per farci dare un passaggio fino a Honningsvåg. Alla fine, ancora a Capo Nord, abbiamo trovato un signore gentilissimo, un belga che era in vacanza da solo. Non solo ha caricato noi tre ciclisti e le nostre biciclette, ma lo abbiamo anche convinto a portarci direttamente ad Alta, invece che a Honningsvåg, come avevamo inizialmente previsto.
“Quanti chilometri ha fatto?”
“Ha fatto più di 200 km!”
“Ci sono stati diversi momenti in cui mi sono emozionato profondamente. Succedeva spesso quando ammiravo il paesaggio, scoprivo luoghi nuovi, ascoltavo storie nuove, o osservavo il colore del cielo, che immaginavo diverso da quello che vediamo in Italia. Però, la vera emozione, quella più intensa, l’ho provata quando ho capito davvero che sarei arrivato a Capo Nord in bici. Questo è successo circa 1000 km prima dell’arrivo. In quel momento, nonostante tutte le difficoltà incontrate lungo il percorso, ho capito che sarei arrivato a destinazione. Sarebbe stata solo questione di ore o giorni. È lì che ho avuto la consapevolezza e l’emozione che l’avventura era quasi conclusa.”
“Senti Franco, ma che cosa ti ha lasciato questa esperienza della North Cape?”
“Sai, è difficile rispondere a questa domanda.”
“Ci credo!”
“Sì, perché ogni giorno che passa ci penso e… guarda, mi vengono i brividi solo a parlarne. Ogni giorno si aggiunge qualcosa di nuovo, e non è facile metabolizzare un viaggio come il mio, durato 15 giorni, in appena un mese. Una cosa è certa: ci penso continuamente, ed è qualcosa che ti entra dentro e che ti cambia, sicuramente. Mi sento cambiato, perché inizi a vedere le cose in modo diverso. Ti rendi conto che nulla è così fondamentale o necessario come sembrava. Quando viaggi, ti accorgi che hai bisogno solo di mangiare, dormire ogni tanto, e il resto è davvero superfluo. Quello che conta davvero è ciò che vedi, quello che provi, e i rapporti che instauri, sia con le persone che con l’ambiente circostante.
È una domanda molto difficile a cui rispondere. Forse, se me la rifacessi tra qualche mese, potrei darti una risposta più precisa. Però, di sicuro, penso di essere cresciuto, di essere migliorato, e di aver acquisito un po’ più di esperienza, sia dal punto di vista tecnico che ciclistico. Quanto a ciò che mi ha cambiato dentro, non te lo so dire con esattezza, ma spero di essere migliorato sotto molti aspetti. Quello sì.”
“Ma quindi consiglieresti questa esperienza?”
“Sì, la consiglierei assolutamente, perché per me è stata la realizzazione di un sogno. Tuttavia, è importante sottolineare che esistono sogni anche molto più facili e meno impegnativi. La realizzazione di un sogno è di per sé qualcosa di grande. Quello che consiglio è che, per affrontare un’avventura come la North Cape, è fondamentale non improvvisare. Serve una preparazione adeguata, sia fisica che mentale. Ma al di là di questo, consiglio vivamente di viaggiare, di provare davvero il viaggio in bici, il viaggio lento, l’autosufficienza. Questo tipo di esperienza ti fa capire molte cose su te stesso e sulla vita. Anche se sembrano frasi banali, è davvero così.”
“Queste tue parole richiamano il concetto di essenzialità.”
“Esattamente. Viviamo in una società piena di oggetti, pensieri e relazioni, molte delle quali possono essere tossiche. Questa esperienza ti confronta con la realtà semplice che puoi fare molto con poco e stare bene lo stesso. Quando sei lì, durante il viaggio, programmi la giornata in base alle tue necessità e non hai spazio per pensare a cose superflue. Devi semplicemente affrontare la giornata nel miglior modo possibile, cercando di ridurre al minimo i problemi e vivendo al massimo l’esperienza.”
“Come ti sei sentito al ritorno a casa?”
“Al ritorno a casa, ho trovato una certa difficoltà a riadattarmi. Mi mancava la pienezza di un’agenda densa di impegni, anche di paure e pensieri. Avevo bisogno di quel senso di completezza che avevo durante il viaggio. Il recupero fisico è stato necessario e il mio corpo aveva bisogno di tempo per riprendersi, ma a livello mentale, mi è mancata la struttura e l’intensità di ogni giorno. Questo vuoto mi ha colpito particolarmente durante il periodo di recupero.”
“Senti Franco, hai già in mente qualche altro progetto o evento per il futuro?”
“Pensare a progetti futuri dopo la North Cape non è facile, perché ho alzato molto l’asticella. Tuttavia, ho sicuramente qualcosa in mente. Quello che non manca è la voglia di viaggiare e di mettermi alla prova con nuovi obiettivi. Fammi riflettere un po’ e poi ti farò sapere.”
Franco ha pedalato su di una Daccordi Alterego. Per seguire Franco su Instagram il suo account è @dvc99